Impatto del cambiamento climatico sulle politiche dei porti
I porti marittimi sono esposti al rischio di vari disastri naturali che ne distruggono e ne riducono significativamente la funzionalità. Esistono vari tipi di disastri che differiscono, tra gli altri, per frequenza, scala e misure di mitigazione necessarie. Ad esempio, disastri naturali come inondazioni, uragani e mareggiate causati dai cambiamenti climatici hanno sollevato preoccupazioni in tutto il mondo negli ultimi dieci anni e molti Paesi hanno adottato misure o elaborato piani per affrontare il rischio.
Lo studio Systemic risks from climate-related disruptions at ports mette in evidenza come l’interruzione dell’attività portuale dovuta a condizioni climatiche estreme possa avere impatti sistemici sul traffico marittimo, sul commercio e sulle catene di fornitura globali. Combinando i tempi di inattività stimati correlati al clima in 1.320 porti con un modello globale dei flussi di trasporto, lo studio ha stimato rischi sistemici per un valore medio annuo pari a 81 miliardi di dollari per il commercio globale e di almeno 122 miliardi di dollari per l’attività economica.
L’interruzione delle attività in un porto ha effetti a catena sugli altri porti ad esso collegati. Lo studio ha infatti evidenziato che, quando un porto europeo è soggetto a inondazioni costiere, altri porti europei sono più inclini a interruzioni a catena. Lo stesso vale anche per porti localizzati in altre aree geografiche.
Inoltre, i porti con un numero inferiore di partner commerciali tendono ad avere un rischio di inattività, causato da interruzioni a catena, più elevato perché non beneficiano della diversificazione dei partner commerciali. In termini relativi, i potenziali di interruzioni a catena sono particolarmente elevati nell'Australia meridionale, nel Medio Oriente, nell'Africa occidentale, nel Sud America, negli Stati Uniti occidentali e in alcune parti dell'Europa settentrionale. L'interruzione media nei porti in queste regioni è relativamente bassa, ma il potenziale di effetti a catena derivanti dalle interruzioni nei porti con cui sono collegati è relativamente elevato (>80% del rischio totale di inattività). Infatti, queste interruzioni a catena da porto a porto risultano essere maggiori del rischio di inattività diretto per circa due terzi dei porti.
Propria a causa degli effetti a cascata che ha l’inattività di un singolo porto, lo studio How should ports share risk of natural and climate change disasters? Analytical modelling and implications for adaptation investments evidenzia come le misure efficaci per mitigare i rischi climatici nei porti non si limitano agli investimenti in frangiflutti che riducono direttamente i danni alle singole infrastrutture in caso di disastro. Negli ultimi anni, molta attenzione è stata focalizzata anche sul rafforzamento della resilienza dell'intera rete attraverso la sostituzione funzionale tra i porti o "condivisione del rischio". Ad esempio, quando i porti nella regione nord-orientale del Giappone continentale furono danneggiati dal grande terremoto del Giappone orientale nel marzo 2011, le loro strutture furono sostituite con i porti di Tokyo. Il programma Delta tra i porti di Rotterdam e Anversa, progettato per garantire la resilienza all'innalzamento del livello del mare e alle inondazioni nei Paesi Bassi, è un esempio di misura proattiva che applica la condivisione del rischio.
Il cambiamento climatico è apparso per la prima volta, nella classifica delle priorità indicate dai porti stilata dall’ESPO Environmental Report, nel 2017. Nel 2022, è diventata la principale preoccupazione ambientale del settore e vi è rimasta anche nel 2023.
Sebbene meno della metà dei porti, il 47%, abbia dovuto affrontare problematiche operative legate al cambiamento climatico, una percentuale significativa, il 76% dei porti esaminati, tiene conto dei potenziali impatti dei cambiamenti climatici, come l’innalzamento del livello del mare, l’aumento della frequenza delle tempeste o il cambiamento dei modelli meteorologici, durante la progettazione e la costruzione di nuove infrastrutture.
Inoltre, i porti europei nei loro piani di sviluppo hanno già preso in considerazione da tempo il rispetto della legislazione sul clima e la riduzione delle emissioni di carbonio. A tal propositi va segnalato che il 65% dei porti monitora l’impronta di carbonio, percentuale che cresce ogni anno.
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